Ecopsicologia. Crescita personale e coscienza ambientale
Di Marcella Danon Editore Urra, Milano, 2006
Recensione di Elena Cavaciocchi
Ecopsicologia. Crescita personale e coscienza ambientale: un libro di Marcella Danon.
L’Autrice scrive: “La psicologia ha bisogno di svegliarsi, di riconoscere di non poter più studiare l’uomo separatamente dal pianeta… non può più ignorare le connessioni tra malessere psicologico e disequilibrio ambientale, tra malattie dell’anima e malattie del mondo”.
L’ecopsicologia nasce a Berkeley, in un gruppo di studio sul contributo che la psicologia può dare alla crisi ecologica, intorno alla figura di Robert Greenway (nomen omen…). Capra lancia L’ecopsicologia nel ‘97. Questa nuova arte psicologica “invita la pratica psicoterapica a espandere la sua attenzione oltre il paesaggio interiore… Verso l’anima del mondo. Ci invita a sentire la terra che parla attraverso il nostro dolore e disagio e ad ascoltare noi stessi come se stessimo ascoltando un messaggio dell’universo”.
Meditazione, estasi, altruismo, amore, compassione, illuminazione, compartecipazione mistica, fenomeni psichici paranormali, transe, sogni lucidi, riti di altre culture e altre psichiatrie, e il potere della preghiera e dell’intenzione. Si parla di peack experiences, di sentimento oceanico, di poetica della wilderness, nata col poeta della beat generation Gary Snyder, in cui si fondono ecologia profonda, buddhismo zen e cultura dei nativi americani.
L’autrice cita Assagioli quando dice “siamo cittadini di due mondi”, riferendosi al mondo materiale e a quello spirituale. “La spiritualità non è più concepita come una ascesa verso altri spazi lontani e distaccati dalla dimensione terrena, ma come un moto inverso, dall’alto verso il basso, come una spiritualizzazione della materia, una sacralizzazione della vita quotidiana. Un moto non di trascendenza ma di inscendenza…” E ancora: “chi si risveglia spiritualmente oggi non è più chiamato a fare l’eremita ma può anzi deve diventare uomo o donna d’azione, e inserirsi funzionalmente nell’ambito della vita quotidiana, con creatività e coraggio”.
Nella sua visione ecologica, sulla scia di quanto scritto da Capra a proposito della connessione al cosmo e alla totalità – ma anche, aggiungo, nello specifico del lavoro sul corpo, della connessione di tutte le parti con le altre e con l’intero – Marcella Danon ci fa notare come, quando una macchina si guasta, di solito il guasto ha una singola causa riconoscibile. Invece, nel caso dell’organismo vivente, esso è in grado di continuare a funzionare malgrado la presenza di un danno: come? Attivando delle compensazioni. L’organismo crea degli aggiustamenti, per riequilibrarsi: ma nel far questo dà origine ad una catena di altri squilibri. Per riportare un sistema all’armonia, dunque, si dovrà prendere in considerazione l’insieme dei fattori nella loro reciproca concatenazione.
Nel lavoro riabilitativo questa logica è ferrea, ed è secondo me l’unica funzionante. In psicologia questa visione genera la scuola sistemico-relazionale e la Psicologia dialettica di Nicola Ghezzani. In medicina ci stiamo avvicinando ( la M.T.C. per esempio si è sempre fondata su questa visione ). “Se qualcuno si fa male al piede sinistro, per esempio, comincia a camminare appoggiandosi sul destro; così facendo, flette la schiena per poter mantenere l’equilibrio, le spalle perdono l’allineamento e le costole esercitano una maggiore pressione sul fegato. E’ utile rivolgersi a uno specialista del fegato che mai si sognerebbe di preoccuparsi del piede sinistro?”
Come nell’ecologia, così nella visione olistica della salute si sa che ciò che accade da una parte influenzerà ciò che accadrà da un’altra.
Bateson iniziò a impostare la sua ricerca non più sui mattoni costitutivi dalla materia, ma sulla struttura che connette. Egli affermò che struttura della natura e struttura della mente sono una il riflesso dell’altra. La mente fa parte della realtà materiale e insieme ad essa deve essere presa in esame. Questo implica, per esempio, il riconoscere che i disastri ecologici che abbiamo causato sono dovuti non a cattive intenzioni ma a una cattiva epistemologia, ossia a un modo di pensare al mondo e a noi stessi non ecologico.
Bateson infatti fonda l’ecologia della mente considerando che la qualità del rapporto che costruiamo con il mondo dipende dalla connessione che abbiamo con noi stessi. Come può l’uomo conoscere i sistemi viventi, si chiede. La logica da sola non basta. Servono molte branche della conoscenza, fra cui anche l’arte e la poesia, che servendosi di metafore e narrazioni, si riferiscono sempre a relazioni. Si assiste così a un passaggio culturale, da una biosfera priva di mente, a una che germina attraverso il processo mentale.
Esiste un continuum tra organismo e ambiente, e la nostra conoscenza è parte di una conoscenza più ampia che tiene unita la creazione tutta. La persona che “conosce” è parte di questa rete di relazioni, e ne è allo stesso tempo osservatore e fattore condizionante. E così, la psicologia è sempre più indistricabilmente connessa all’ecologia.
Oltre alla biosfera (parte esterna della terra in cui si manifesta la vita), alla troposfera (sede dell’aria che respiriamo), alla stratosfera (sopra le nubi fino a 50 km di altezza, comprendente la fascia dell’ozono), dobbiamo considerare anche la noosfera (dal greco nous, mente superiore), la sfera della mente, l’insieme dei pensieri, degli ideali e dei valori dell’umanità. Questo campo attivo si rivela un elemento fondamentale, sulla bilancia dell’equilibrio ecologico.
La noosfera mi riporta all’inconscio collettivo di Jung, ma anche al mondo delle idee platonico. La definizione si deve a Vernardskij, che intuì che animali, vegetali ed atmosfera, attraverso i cicli del carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno, formano un unico sistema. Oltre a Teillard de Chardin, anche James Lovelock e Lynn Margulis si sono ispirati a questa visione, nella considerazione della terra come un organismo autoregolantesi.
Oltre Jung e Hillman, Michael Conforti, analista junghiano pioniere nello studio delle interconnessioni tra materia e psiche, collega gli archetipi alle leggi della natura, considerandoli campi informativi che danno forma alla materia. Sheldrake chiama campi morfogenetici quel corpus di informazioni di ogni specie al quale tutti noi, come una banca dati in cloud, possiamo accedere. In teosofia, si parla di forme pensiero, perché non siamo solo recettori passivi di questi campi o archetipi, ma li possiamo modificare attraverso la qualità del nostro pensiero e operato.
Il concetto di noosfera è stato studiato a fondo alla Princeton University, in Usa negli anni ‘70. Dal ‘98 il progetto si amplia e diventa “Global consciousness project”, una ricerca internazionale multidisciplinare che mette al lavoro scienziati e ingegneri. Un gigantesco database mondiale registra dati come incidenti, terremoti, fasi lunari, finali di calcio, grandi concerti, per verificare se i sistemi causali cambiano quando la coscienza umana diventa coerente in una direzione con numeri significativi. Vennero anche registrati i momenti in cui più dell’1 % della popolazione meditava in una certa città, e si vide che gli atti di criminalità diminuivano… effetto Maharishi… Quindi sì, cambiando il modo di pensare si influisce sulla realtà.
Dall’ecologia superficiale si arriva all’ecologia profonda verso il ‘73, dopo la conferenza sulla ricerca del futuro nel terzo mondo, che si svolse a Bucarest. Oltre al Club di Roma vediamo ovunque ricercatori che si pongono il problema della questione ambientale, guidati da economisti e sociologi come Ivan Illich. Il vasto movimento dell’ecologia profonda si basa su una visione olistica della realtà in cui l’uomo è inserito nel tutto.
E’ una visione ecocentrica e non più antropocentrica che ripensa all’organizzazione della società e al posto dell’uomo nella natura. Il mondo non è piu’ una serie di oggetti separati, ma una rete di fenomeni interdipendenti, conoscibile attraverso l’intuito e la sensibilità; ogni forma di vita ha valore in sé, indipendentemente dagli obiettivi umani e produttivi. Papa Francesco nel 2015 scrive “Laudato sì. Sulla cura della casa comune”, segnando un grande passo avanti nello sviluppo di una coscienza planetaria, di una cittadinanza terrestre.
Ed è nello studio della terra, dell’inizio della vita sul nostro pianeta, che incontriamo la popolazione dei batteri. Essi per primi misero in atto la fotosintesi, cambiando letteralmente la faccia della terra. La fotosintesi consente agli organismi pluricellulari più complessi di sfruttare l’energia solare per trasformare semplici sostanze inorganiche, come l’anidride carbonica e l’acqua, in sostanze organiche ricche di energia: in pratica i batteri, invece di cercare il cibo, se lo producono da soli. Da questa alchimia nacque l’ossigeno libero, che cambiò direzione alla vita della Terra.