Intervista su Narcisismo, Invidia e Psicologia

di Nicola Ghezzani

Luigi Di Giuseppe:

Psiconline oggi vi propone l’intervista ad uno dei maggiori esperti di psicologia/psicoterapia in Italia, autore di innumerevoli testi specialistici di incredibile successo e presenza costante sul web attraverso la sua pagina Facebook: Nicola Ghezzani.

Nicola Ghezzani, Presidente della SIPSID (Società Italiana di Psicologia Dialettica), è uno dei più prolifici autori in campo psicologico oggi presenti in Italia e tantissimi suoi libri, solitamente pubblicati da FrancoAngeli, sono diventati best seller nei loro specifici settori di riferimento.

Oggi Psiconline vuole intervistarlo non per parlare dei suoi ultimi successi editoriali ma come esperto in materia, come studioso che da anni si occupa di narcisismo e di dipendenza affettiva e come persona in grado di farci comprendere le profonde dinamiche che sottendono un fenomeno psicopatologico che oggi tende ad essere sempre più invasivo ed invadente nella vita di ciascuno di noi e all’interno della società tutta.

Nicola, affabile e disponibile, si pone di buon grado ad ascoltare le nostre domande che saranno, obbligatoriamente, semplice e tendenti ad avere risposte altrettanto semplici, nel solco dell’ottica divulgativa ed informativa che contraddistingue da sempre il nostro modo di affrontare la psicologia e le sue dinamiche.

Yuri ShalimovDomanda: La domanda ti sembrerà banale ma è, per noi, obbligatoria. In un contesto nel quale “narcisismo” è divenuta una parola alla moda e tutti la utilizzano, a proposito e/o a sproposito, vuoi cercare di darcene una “definizione” che sia in grado di far comprendere ai lettori di cosa stiamo concretamente parlando? Non ti chiediamo termini “tecnici” ma, come tu sai fare molto bene, una chiarificazione che sia in grado di far meglio comprendere il tema di cui stiamo parlando.

Risposta: Innanzitutto, ringrazio Luigi Di Giuseppe per l’occasione che mi dà di parlare ai lettori di Psiconline, sito di informazione che frequento abitualmente. Persona naturalmente gentile, Luigi farebbe parlare anche i sassi. E io sono un sasso piuttosto loquace.

Veniamo al nostro argomento. Il termine “narcisismo”, a fine Ottocento, inizi Novecento, circolava nel solo ambito della sessuologia, disciplina che si occupava di patologia sessuale in senso stretto. Qui, indicava l’individuo che si eccita sessualmente col proprio corpo, osservandolo in uno specchio. Poi, Sadger e Rank lo introdussero in psicoanalisi, dove prese a rappresentare l’individuo vanesio, chiuso in se stesso, orientato costantemente a sé. In seguito, Freud ne fece il paradigma della sua nascente disciplina: per lui il narcisismo era una tendenza universale innata a sottrarsi al peso della relazione.

Oggi, Otto Kernberg, uno dei massimi psicoanalisti freudiani lo pensa ancora in questi termini. Noi però oggi siamo in grado di pensarlo in modo più complesso. Dal mio punto di vista, che ho espresso in molti libri sull’argomento, noi tutti siamo un intreccio di bisogni sociali e bisogni personali di individuazione. Nel momento in cui un individuo, sin da bambino, subisce una serie di micro-traumi, cioè di maltrattamenti inerenti la sensibilità personale, il senso di dignità e quindi i confini dell’Io, la sua personalità può orientarsi verso una individuazione affrancata dal peso della relazione, cioè priva di empatia, simpatia umana, affettività, reciprocità relazionale. In sostanza, chi ha subito traumi anche non gravi, ma ripetuti, a carico della dignità personale e del senso di autonomia, può scegliere una via di chiusura e di violenza per raggiungere un senso di autonomia e di integrità. È come se, avendo un braccio ferito, usassi sempre e solo l’altro braccio.

Naturalmente, i bisogni sociali non cessano di essere vivi, ma vengono adoperati in modo strumentale: per esempio entrando e fuggendo via rapidamente dai legami; oppure seducendo e sottomettendo il partner; oppure violando in continuazione il senso di dignità altrui. Ecco, il narcisismo è una forma di pseudo-autonomia vissuta a spese e a danno degli altri.

Domanda: Perché, a tuo giudizio, oggi si parla così tanto di questo specifico argomento al punto che il termine “narcisista” si è trasferito nel linguaggio comune? E’ un dato che afferisce alla individualità dei soggetti o è un problema della società?

MercedesRisposta: Come ho scritto nel mio ultimo libro, “La specie malata”, che uscirà a marzo di quest’anno, l’invidia è il sentimento oggi dominante, perché ognuno guarda a ciò che l’altro ha o è e, se ritiene di non poterlo raggiungere, desidera la sua distruzione. In questa realtà sociale ognuno diventa il rivale e il competitore dell’altro, e qualunque argomento è buono pur di vincere la partita. Lo osserviamo nei sempre più frequenti conflitti sui social e sui media,  dove non si risparmiano colpi. Dire che l’altro è un narcisista implica un giudizio negativo, cioè che lui sia fatuo e vanesio, oppure violento e prepotente, quindi che non abbia vere qualità umane. È una forma di denigrazione.

Di quest’uso denigratorio delle parole ce ne rendiamo conto e proprio perché viviamo in un regime di invidia universale, ce ne sentiamo personalmente minacciati. Quindi, quando parliamo così tanto di narcisismo, non di rado esprimiamo una sincera nausea morale, una condanna confusa ma appassionata, la rabbia per ciò che circonda, la paura di essere umiliati e sfruttati; ma, dall’altro lato, mentre ci protestiamo innocenti e migliori degli altri, stiamo proiettando sul mondo un’invidia che è invece nostra.

Abbiamo tutti paura della violenza altrui e ci difendiamo accusando gli altri di narcisismo, ma noi stessi siamo parte del problema. Mentre subiamo l’aggressione, non sfuggiamo al fascino di poter essere noi gli aggressori, cioè di essere i più forti, i più furbi , i migliori. Infatti, pensiamo di avere il diritto di avere più degli altri, di essere più ricchi o più potenti, di avere la macchina o la casa più lussuosa, i figli più intelligenti, il numero maggiore di amanti o corteggiatori, relegando gli altri a un rango inferiore.

Ti faccio l’esempio della battaglia femminile nei confronti dell’uomo narcisista. Il più delle volte è sincera, coglie un dato di realtà. Ma non meno spesso maschera una rabbia femminile generalizzata, una rabbia così pregiudiziale nei confronti dell’intero genere maschile, che potremmo definirla anch’essa narcisistica. Bisogna riflettere sul fatto che un tempo esisteva la categoria clinica dell’isteria, che colpiva soprattutto le donne, e che oggi questa categoria è scomparsa. In realtà, è stata semplicemente rimossa, perché troppo esplicita nel mostrare che le donne possono essere fatue e manipolatrici quanto gli uomini. In questo senso il narcisismo è una patologia democratica, come un qualunque virus, e può colpire indifferentemente tutti.

Domanda: Voglio farti, a questo punto, una domanda provocatoria. Ma non potrebbe essere che, a furia di divulgare, molti termini complessi (come quello di cui stiamo parlando) e specificatamente indirizzati ad un pubblico di specialisti siano poi stati così banalizzati al punto da renderli poco significativi? Penso, ad esempio, anche a termini come paranoia o, ancora di più, doppia personalità.


Risposta
: La tua domanda è molto sensata. L’uso corrente tende a banalizzare i concetti, cioè a renderli compatibili col senso comune, che ne smonta la portata critica e innovativa. Ogni cultura si difende, quindi se dico che la nostra è la società del narcisismo, la società a cui mi riferisco si difende e diffonde il concetto che il narcisismo in fondo è solo un po’ di vanità e che va bene essere un po’ narcisisti perché fa arrivare in televisione e al successo. Il concetto cessa di detenere la critica sociale originaria e diventa banale.

Allo stesso modo, i termini possono essere banalizzati quando non sono più strumenti per indagare la realtà, ma armi per aggredire. Il termine “narcisismo” indica la tendenza a profittarsi degli altri per apparire migliori e sfruttare e possedere di più; quindi implica una critica sociale. A sua volta, il termine “doppia personalità” implica la consapevolezza che l’Io è composto di motivazioni divergenti, potenzialmente scisse, quindi implica la critica al senso comune che dice che l’Io è, per sua natura, autonomo, libero e coerente. Non è così, lo può solo diventare, e con grande sforzo. Bisogna mantenere sempre vivo il significato critico delle parole. Ultimamente sono rimasto stupito dall’affermazione di una docente di Psicologia che diceva ai suoi studenti che la dissociazione è sempre e solo psicotica, non è mai nevrotica. Il concetto è assurdo perché relega la dissociazione all’ambito delle malattie mentali gravi, mentre è evidente (era evidente già a Freud) che la scissione dell’Io e la dissociazione mente/corpo, o Io/emozione fa parte del normale corredo psichico umano.

Domanda: Perché, secondo te, la Società ha bisogno di appropriarsi di questi termini e di riutilizzarli con modalità diverse da quelle per cui sono stati coniati dagli specialisti?

Risposta: Il riutilizzo comune di questi termini serve ad esprimere delle sensazioni che si avvertono in se stessi e nel mondo circostante, quindi in fondo ne allargano il campo di significatività. Quindi, utilizzare in modo corrente termini tratti dalla psicologia serve a esprimere e diffondere sensazioni, intuizioni, analisi e generalizzazioni. Anche se si corre il rischio della banalizzazione, io lo considero un fenomeno positivo.  La cultura psicologica si diffonde, quindi anche l’attenzione al fatto che ogni evento è mediato dall’esistenza della psiche, cosa nient’affatto scontata per tutti.

Domanda: La letteratura e in genere la narrativa hanno pescato a piene mani nella psicopatologia ed il narcisismo, in genere, è uno dei must per le sue evidenti implicazioni di copertura/svelamento che lo rendono decisamente adatto agli schemi narrativi. In particolare il genere “giallo/noir” na ha fatto un uso abbondante e, a volte, strumentale in senso negativo. Pensi che sia positivo o negativo tutto ciò?

Risposta: Le fiabe sono sempre esistite. Nessuno ha mai pensato che i Fratelli Grimm o Andersen abbiano sminuito l’analisi sociale di Voltaire, Balzac o Marx. Quindi ben vengano i romanzi e i film noir: essi tengono viva la coscienza di stati psicologici alterati e del coinvolgimento di sistemi sociali perversi. Anche se non spiegano sempre in modo ammirevole le dinamiche presenti nel fenomeno, rappresentano comunque un mezzo per tenere desta l’attenzione e l’immaginazione. Non tutti possono essere geni psicologici come Shakespeare, Dickens, Dostoevskij.

Domanda: Caro Nicola, una intervista davvero interessante che voglio chiudere con una provocazione, se ci stai… Se smettessimo di parlare di psicopatologia e di narcisismo in modo divulgativo e ci richiudessimo all’interno del nostro settore specialistico, ne guadagnerebbe la conoscenza oppure ne perderebbe? Migliorerebbe il rapporto fra le persone oppure, al contrario, ne sarebbe peggiorato?

Risposta: Caro Luigi, la risposta è implicita nella domanda. È evidente che l’elitarismo è un grosso rischio per il nostro campo culturale e la nostra professione. In sede di psicoterapia, il nostro scopo non è quello di accampare un sapere iniziatico, misterioso, di tipo sacerdotale, ma di raggiungere la coscienza del nostro paziente. Solo la crescita della sua coscienza lo aiuterà a guarire. Se ci trincerassimo nel mistero lo terremmo non solo in una condizione di ignoranza, ma anche di paura e di soggezione.

Del resto, un certo elitarismo l’abbiamo già riscontrato in alcune correnti del nostro campo e ne abbiamo saggiato il danno portato quanto meno alla nostra immagine professionale. Penso per esempio al kleinismo o anche a certi aspetti della psicoanalisi bioniana, che enfatizzano le cosiddette “pulsioni primordiali” o le “parti psicotiche” del soggetto di fatto negandogliene la conoscenza. Questo giudizio lo estendo anche ad alcune correnti new age dello junghismo, esoteriche e pseudo-iniziatiche.

Non credo che il nostro compito sia di dar vita ad una sorta di casta sacerdotale. La nostra è una disciplina che si occupa della cura della psiche individuale e di gruppo, che si fonda su un sapere scientifico e può avere correlazioni culturali di natura filosofica o letteraria. La sua eventuale complessità argomentativa deriva solo dalle scienze cui fa riferimento, non da un mistero esoterico da cui escludere i comuni mortali.

Luigi Di Giuseppe:

Si, hai ragione. In effetti il nostro è un lavoro che deve obbligatoriamente “andare” verso le persone, non chiudersi nelle proprie dorate stanze. Creare conoscenza, maturità e consapevolezza sono gli assunti di base di una “cura” che è e deve essere essenzialmente maturazione e crescita personale.
Penso che possiamo anche fermarci qui e, magari, darci appuntamento per una prossima intervista, visto il grande interesse e la grande profondità di questa.
Magari nella prossima parleremo nello specifico di qualche tuo libro, invece che discutere in generale.

Ringraziamo Nicola Ghezzani per la sua disponibilità e rinviamo i nostri lettori ad approfondire l’argomento attraverso la lettura dei numerosi libri scritti dal collega.

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